L’argomento è “Lo stile di relazione che si instaura quando si ha paura di stare soli”.
Questa proposta di gruppo mette in connessione un’esperienza emotiva complessa e l’instaurarsi di uno stile relazionale ad essa collegato.
L’esperienza umana della paura della solitudine è tra le più antiche e riconosciute da qualsiasi prospettiva – psicologica, letteraria, artistica – e rappresenta una fonte di ricerca esistenziale. Allo stesso tempo è considerata e vissuta anche come una voragine che trae a sé qualsiasi passante le si avvicini, richiedendo un’opera di autogestione notevole per evitare di esserne inghiottiti.
Questa dimensione psicologica si presenta alcune volte mostrando le sue chiare forme, come ad esempio quando si deve sempre essere accompagnati da qualcuno sentendo l’autonomia come un vuoto e non come una sicurezza.
In altre circostanze non dà segnali diretti e sposta il suo focus altrove, ad esempio attraverso l’iperascolto di alcuni sintomi fisici e l’essere focalizzati sul proprio stato di salute.
In moltissimi casi, per una sorta di anestesia sociale e di cinismo verso l’emotività, questa paura viene demonizzata e, più di prima, nascosta. Sono figure recenti il parossismo e la frenesia, il caos sentimentale e relazionale, l’utilizzo di animali o dei telefonini come dissuasori del traffico interno fatto di questo ingrediente: paura della solitudine.
Il risultato, comunque, è quello di essere agiti più che di agire. E di non gestire i propri grovigli restandoci all’interno senza consapevolezza.
Ecco alcune domande che frequentemente le persone che vivono nella spirale dell’angoscia da soitudine si fanno: ma da dove proviene la “paura di stare soli”? E’ segno di una qualche “patologia” ? Ci sono differenze nella gamma di questo sentire?
Certamente ci sono differenze e per un siffatto argomento vi sono mille spiegazioni a intervenire. Nonostante le ragionevoli differenze fra individui, nei sotterranei delle nostre “menti” incorrono alcune forze quando si vive l’esperienza della solitudine, ad alcuni livelli “sane”, come lo è la paura e il suo conseguente istinto protettivo, al altri livello poco sane come:
- i comportamenti affini alle sindromi abbandoniche, ovvero il vivere ogni episodio come un sicuro abbandono, la fine della relazione, il baratro. Il ricorso a previsioni nefaste e a catastrofizzazioni
- iperfagia di relazioni sentimentali o, in altri termini, l’attitudine a disseminare il proprio potere sentimentale per garantirsi presenze
- relazioni sentimentali disfunzionali esasperanti
- fare ricorso al controllo delle emozioni, fino al distacco dalle emozioni
- la dipendenza dall’essere connessi, la scelta di una rete virtuale come rete di raccolta e di salvataggio rispetto al vuoto disseminato intorno
- relazioni sentimentali virtuali, più pensate che vissute, con più attese che incontri, che vanno verso l’ossessione perchè albergano più nella testa che nella vita.
Tutte queste diverse reazioni rappresentano anche un contingente di forze in soccorso, allo scopo di distrarre, spostare, dinamizzare e qualche volta indicare un certo bisogno e un certo cammino necessario. Ma sono più frequentemente un groviglio da cui non è semplice raccapezzarsi e su cui un percorso di “chiarezza” personale sarebbe il benvenuto.
Lo scopo a cui si lavora in questo gruppo è sottrarre potere al pianeta della paura che tutto vuole e tutto stringe, trattandola come un tiranno che si impadronisce della libertà senza chiedere il permesso.
E destituirla, ribaltando la logica: non sono gli altri che ci lasciano soli, siamo noi che lasciamo soli gli altri. Quando si vive soggiogati dalla paura delle malattie, con l’ansia addosso, in perenne fuga sentimentale, contemporaneamente dentro a mille relazioni, a comperare le attenzioni di qualcuno che ci rifiuta, si viene respinti perchè si attuano comportamenti fallimentari da un punto di vista relazionale. Non si capiscono i bisogni degli altri, si viaggia accecati dal prorio bisogno, si è convinti che non si possa fare altro rispetto a quello che si sta facendo, si crede che in nome dell’amore ci si possa prostrare. Ma la responsabilità di questo è propria, è personale, perchè si è data ospitalità alla paura di stare soli e si è suoi servitori.
ARGOMENTI di questo gruppo:
- i luoghi comuni di questa paura
- gli atteggiamenti conseguenti
- la loro gestione per non cadere in una trappola
- il fatalismo e il destino avverso.
- conoscere il fertilizzante delle relazioni felici.
Si è scelta la metodologia del lavoro di gruppo per questo tema perchè offre innumerevoli spunti e funge da fattore di accelerazione per la possibilità di compiere dei passi in avanti, proprio per la possibilità di osservare in altri quanto accade in sé.