Le richieste di psicoterapia partono spesso da questa difficoltà, anche se non è raro che il diretto interessato non se ne accorga. Possono riguardare un disagio di coppia vissuto “individualmente” e rispetto al quale la terapia di coppia non sarebbe la giusta risposta al problema. Molto frequentemente riguardano vissuti in ambito lavorativo, contesto della vita quotidiana e delle ore centrali del nostro tempo, dove si vivono ruoli alla pari e non, scadenze e diversi modi di gestirle, disponibilità e indisponibilità, spirito di sacrificio o disimpegno, aspirazioni alla carriera, meritocrazie opinabili, comunicazioni di cambiamenti e campagne di candidatura . Si registrano sofferenze relazionali anche nei contesti amicali, non soltanto per i più giovani ma anche per persone mature, come se il panorama attuale in cui ci si è smarcati da dogmi e si è liberalizzata la propria autonomia avesse creato tante distanze e allontanato le possibilità di contatto.
“Difficoltà di relazione” è un titolo che fa fatica a non attrarre l’attenzione perché, anche in una società tecnologica, le relazioni rimangono un fondamento dell’identità e permettono il miracolo per eccellenza: attraverso la presenza di altri, la vita di altri, la diversità di altri noi ci sentiamo vivi e traiamo energia e sostentamento per la nostra esistenza.. Per comprendere il processo che si instaura nelle relazioni è necessario guardare a tutti i suoi incastri e non al singolo tassello, cogliendo di una persona la sua posizione rispetto alle sue relazioni, il suo investimento, la cassa di risonanza delle sue delusioni, il mandato affidato alle relazioni per il futuro. Approcciarsi alle relazioni e comprendere lo stile di relazione di qualcuno è tutt’altro che uguale al trovare UNA causa specifica.
Quali difficoltà di relazione oggi?
Una certa aggressività di sottofondo, ovvero una sorta di “sciatteria emotiva” che rende lecita la risposta scortese e una certa dose di inconsapevolezza del gesto aggressivo che lo giustifica; una concezione manipolativa della relazione, per cui con l’ausilio un po’ forzato del concetto di buona autostima, ci si legittima a spremere una relazione per ottenere un certo profitto, indipendentemente da come si sta; molte più insicurezze nell’allacciare rapporti di semplice amicizia, nel rompere il ghiaccio, nel fare un passo in modo davvero accogliente; una certa ingenuità nel mischiare eros e amicizia, una certa confusione nel cogliere le differenze; una certa inibizione nel dialogo di apertura, una propensione a fare più che a condividere; una certa perdita del senso del tempo, per cui una settimana è considerata un tempo lunghissimo se si sta aspettando e due anni sono relativi se non si ha alcuna intenzione precisa.
Da cosa dipende tutto questo? Non è semplice saperlo, probabilmente un mix fra leggi del mercato competitivo che divengono regole implicite anche nelle relazioni private, immettendo una logica di massima resa e di legittima fruibilità anche nei rapporti personali; l’influenza del web nel senso del tempo, che porta “aspettative da click” nell’evoluzione degli affetti con la complicazione di non trovare appoggio su strutture mentali adeguate per reggere i cambiamenti veloci; una congiuntura sociale ed economica che rende necessario avere nuovi riferimenti nei rapporti – di coppia, di amicizia, tra genitori figli e nonni, tra scuola allievi e genitori, tra medici e pazienti, tra istituzioni e cittadini, – in assenza di dispositivi idonei alla creazione di queste risposte.
Come fare a sciogliere questi nodi?
Nei corsi di formazione che si occupano di comunicazione si si cercano moduli comportamentali cui allinearsi che tolgano di mezzo i dubbi sul come fare. La domanda spesso è “Come devo fare, allora?”, delegando all’esterno il dilemma.
La comunicazione non si fa imbrigliare dal comportamentismo o dallo spontaneismo. Non ha regolette ma poche linee fondative come ascoltare, essere consapevoli dei propri pregiudizi, avere capacità di immedesimazione, sapersi distanziare.
L’atto del comunicare è un capitolo molto importante per cominciare a comprendere le proprie relazioni ed è un ottimo terreno ove da cui partire per comprenderle. Come comunichiamo? Con quale voce, con quali parole? Con quale postura del corpo? Cosa comunichiamo con gli abiti che scegliamo di indossare? Restiamo in silenzio quando siamo in difficoltà, ci muriamo dietro ipotetiche protezioni? Sappiamo tirare fuori le nostre emozioni difficili?
Un percorso individuale su questa base è quanto di più promettente un individuo possa intraprendere per sé. Questo anche a fronte del fatto che quando la vita di relazione va male, tutta la “restante vita” subisce una grave menomazione. E’ molto importante sentirsi apprezzati, considerati e amati nei propri contesti relazionali, sentire che si “funziona”. E’ essenziale sentirsi in grado di scegliere cosa fare, avere più carte nel mazzo, sentirsi persone con delle risorse da far fiorire.