Dipendenza da alcool
L’alcool appartiene alla categoria degli anestetici o deprimenti del sistema nervoso centrale; il che significa che, come tutti i farmaci appartenenti a questo gruppo, e’ in grado di produrre depressione del comportamento come ad esempio sollievo dell’ansia, liberazione dalle inibizioni, sedazione, sonno, perdita della coscienza, anestesia generale e coma.
La differenza rispetto alle sostanze del medesimo gruppo sta nel fatto che l’alcool è usato volontariamente e non terapeuticamente. Essendo la sostanza psicoattiva più diffusa al mondo (dopo la caffeina), l’alcool ha procurato problemi sia per i consumatori che per le loro collettività.
L’alcool è sia liposolubile che idrosolubile, cioè si diffonde con facilità attraverso le membrane cellulari, viene assorbito in modo veloce da tutte le pareti dell’apparato gastrointestinale e soprattutto dalla parte superiore, e qui nasce una distinzione tra metabolismo nell’uomo rispetto alla donna, più “efficace” nell’uomo per la presenza del 50% di enzimi nella parete superiore dello stomaco. E’ importante distinguere tra stomaco pieno e stomaco vuoto: questo cambia la rapidità dell’assorbimento, diminuendola se lo stomaco è pieno. L’alcool attraversa la barriera ematoencefalica quasi immediatamente, ciò significa che la resistenza all’ingresso nel cervello è minima; inoltre diffonde liberamente dal sangue della madre al feto, le concentrazioni nel feto diventano uguali a quelle della madre che lo ha assunto, provocando danni . La maggior parte del metabolismo dell’alcool, per uomini e per donne, avviene ad opera del fegato il quale lavora in maniera lineare con il tempo: metabolizza un certo quantitativo di alcool ogni ora, quindi se una persona ogni ora assume più alcool di quanto ne possa metabolizzare, la sua alcolemia aumenterà. Con l’uso prolungato di alcool gli enzimi si abituano al surplus di lavoro e aumentano la velocità del metabolismo, sviluppando quel fenomeno noto come tolleranza. L’antabuse, un farmaco utilizzato di frequente nel trattamento dell’alcoolismo cronico, inibisce gli enzimi che lo metabolizzano e dunque il paziente se assume alcool rimane in uno stato di estremo malessere, con cefalea, nausea, vomito, sonnolenza, intontimento e così via.
In genere le problematiche legate all’assunzione di alcool si riversano primariamente nei rapporti interpersonali con persone che, spesso, all’inizio sono testimoni inconsapevoli del problema. Anche e soprattutto nel rapporto coi familiari tale problema è nascosto, per una dinamica di negazione e minimizzazione da parte di chi beve e per una sorta di complicità con le varie persone vicine che tollerano e minimizzano a loro volta la portata del problema. In qualche modo il nome di “dipendenza dall’alcool o alcolismo ” è l’ultima delle definizioni che tutti i soggetti coinvolti vorrebbero usare per la loro situazione, anche quando la situazione è conclamata. E i rituali sociali in cui siamo inseriti – la cultura enologica e regionale, le informazioni in circolazione, il codice della strada rispetto alla guida e all’alcool test – sono comunque insufficienti per inquadrare che cosa sia la dipendenza e quali possano essere i reali segnali “preoccupanti”. Di alcool è difficile parlare con la stessa obiettività di cui si parla ad esempio delle “droghe” perchè l’alcool è nelle tavole, nei locali, nei ristoranti, agli happy hour, è un farmaco autorizzato per chi sta passando un periodo difficile e non connota alcun problema, rivendicando lo stesso dilemma che esiste fra medicina che cura e medicina che fa male: dove sta il limite? Probabilmente la risposta sta nella dimensione del significato di un’azione e nella gestione di un comportamento, cosa che non può mai essere considerata automatica, nel bene come nel male. In altri termini: non è possibile utilizzare un semplicistico atteggiamento bipolare (lo prendi o lo lasci, fa bene o fa male) perchè per definire qualunque di queste posizioni è necessario capire: quanto si beve, quanto spesso, dove, con chi, sotto la spinta di quale sottofondo emotivo o condizione esistenziale persistente, etc. Per la scarsa attenzione al significato dei comportamenti, per la sua legittimazione nei “banchetti” , per i suoi effetti euforizzanti – anche se più nell’immaginario che non nella costanza dei fatti – l’alcool passa sotto silenzio. Poi ad un certo punto, esplode con i suoi effetti dirompenti. Va detto che uno degli errori più ricorrenti è quello di demonizzarlo o, di contro, autorizzarlo ingenuamente: la verità è che non è semplice comprenderne le funzioni all’interno della vita di chi lo usa e che è necessario inserire l’evento nel filo continuo della storia di un individuo. Una ubriacatura non fa alcolismo e l’aperitivo non volge per forza verso la dipendenza.
In genere però chi arriva a richiedere una consulenza non si trova in fase esplorativa ma di rapporto consolidato con l’alcool e spesso lo fa per mano dei familiari che si ritrovano soli e stanchi verso un problema ingestibile. Tutto questo, almeno in parte, si rifa ad un processo di pensiero rigido e polarizzato detto visione “bianco/nero” che dapprima fa minimizzare. Di fatto, non ci si ritrova grandi bevitori dall’oggi al domani ma lo si diventa, anche per quanto riguarda il fegato. La dipendenza dalla bottiglia è l’esito di un processo e ciò che fa “acqua” nel funzionamento della persona è l’atto del sapersi guardare da fuori, sapersi osservare e smetterla di banalizzare. Domina invece un atteggiamento minimizzante, approssimativo, imbonente, esteso a tutto, una sorta di disimpegno che fa sì che non ci si accorga dei segnali.
Esistono gruppi di auto e muto aiuto per i problemi d’alcool che predispongono incontri più volte alla settimana a ciclo continuo per chi voglia prenderne parte, sono gli A.A. (Alcolisti Anonimi). Esistono anche gruppi dedicati e pensati per un percorso dei familiari dei “bevitori”, gli AL.A.NON (familiari degli Alcolisti). Esistono e hanno la stessa diffusione gruppi detti “degli alcolisti in trattamento” (ACAT) che sono sempre orientati al lavoro di gruppo ma con delle differenze nei valori ispiratori il cambiamento.
In genere sono programmi dove si parla liberamente, senza essere costretti a farlo, dove si ascoltano le testimonianze. Per trovare questi recapiti è senz’altro utile chiamare il SerD del proprio territorio allo scopo di chiedere luoghi e orari di questi gruppi: vi verranno forniti ed è un vostro diritto averli.
La psicoterapia individuale in regime libero professionale può avere senso quando non si è in fase attiva, quando si è lontani dall’alcool almeno quel che basta per prestare attenzione, stare seduti su una sedia, avere capacità di ascolto attivo. Si deve desiderare uno spazio personale per rielaborare la propria storia con l’alcool, per iniziare a scrivere una storia diversa, col recupero della propria libertà.
Se sei interessato ad un programma riabilitativo RESIDENZIALE visita :
http://www.ulss.belluno.it/wp-content/uploads/2013/09/CDS_Sert-Alcologia_AU_100222_rev4.pdf